Oscuramente - RECENSIONI

OscuraMente: quando le relazioni umane danno vita a un thriller psicologico

06 OTTOBRE 2019 19:45

C'è qualcosa di osceno e perverso quando una mente geniale e brillante si mette al servizio dei desideri più  nascosti e profondi della propria anima, soprattutto quando quell’anima, particolarmente sensibile e vulnerabile, si sente profondamente ferita e oltraggiata: è cosi che appare allo spettatore il personaggio di  Leonardo, che muove le fila dello spettacolo presentato al Teatro Hamlet di Roma.

Figlio in balìa di un uomo  e una donna che non riescono più a ritrovarsi come coppia e a ritrovare il senso di essere una famiglia, e costantemente pressato da una parte e dall’altra, Leonardo non sopporta più di sentirsi vessato dalla  crudeltà e spietatezza dei suoi genitori corrosi dall’odio, dalla rabbia, dalla gelosia e dalla disperazione, finendo inevitabilmente per diventare a sua volta spietato e disperato. Sono questi suoi sentimenti oscuri a permettergli di ordire un piano semplice quanto geniale, per ritrovare la sua libertà e spezzare quei vincoli familiari che lo tengono assoggettato a due persone che non considera più come i propri genitori perché non hanno più amore da dargli. Forte di questa oscurità e delle sue conoscenze come chimico, il ragazzo riesce a lavorare sulla debole psiche di Lena e Gerardo per metterli definitivamente l’una contro l’altro per un’ultima fatale volta e ottenere il suo agognato lieto fine.

Per quanto oggi risulti molto complesso per le realtà teatrali indipendenti portare in scena un thriller così subdolo e arguto, il testo di Angela Turchini adattato e diretto da Marzia Verdecchi riesce ad arrivare in maniera diretta allo spettatore e a incollarlo alla sedia coinvolgendolo nel dramma vissuto da Leonardo ma anche dai genitori, che si ritrovano in una situazione non troppo estranea alle coppie odierne. Forse è proprio perché il tema scelto dalla Turchini risulta così familiare, che il pubblico riesce a immedesimarsi e a comprendere sia le ragioni che guidano Leonardo alla scena finale, sia la disperazione di Lena che ha dovuto rinunciare alla propria carriera professionale per essere madre finendo con il rinfacciare e farsi rinfacciare questo ‘sacrificio’, così come si comprendono bene anche i motivi che muovono l’atteggiamento  autoritario di Gerardo, il personaggio probabilmente più fragile dei tre che, divorato dai suoi incubi interiori, deve preoccuparsi di mandare avanti un’intera famiglia che gli è estranea e ostile. 

La scelta registica di dividere il palco in tre scene in cui i personaggi si muovono in penombra, a voler sottolineare ancora di più le loro oscurità personali, consente al pubblico di immergersi nell’atmosfera angosciante, pesante e pericolosa che si respira sul palco risultando così funzionale alla diegesi stessa della storia. L’enfasi della narrazione viene costantemente sottolineata anche dalla scelta delle musiche che accompagnano i pensieri e le azioni dei personaggi rimarcandoli ancora di più, così come fondamentale appare la scelta di lasciare che siano dei costumi non colorati a definire l'incapacità dei personaggi di esternare nel modo corretto i propri sentimenti.  

La difficoltà delle relazioni umane e del complesso rapporto genitori-figli e moglie-marito è stata efficacemente resa dalle performance dei tre attori sul palco che hanno dimostrato di saper creare e dominare scene cariche di tensione, dando vita a un dramma estremamente attuale e capace di innescare nuovi pensieri, dubbi, riflessioni e domande nello spettatore.  

 

Diana Della Mura 


Oscuramente, spettacolo al Teatro Hamlet

Marco 

23 settembre 2019 14:46 

OscuraMente è una storia teatrale contemporanea che racconta una realtà drammaticamente attuale dove niente è come sembra. Costruita attraverso il susseguirsi di situazioni imprevedibili e colpi di scena, si delinea un nucleo oscuro ed emotivo che riesce a condizionare la vita dei personaggi, sospesi tra realtà e mondo interiore. E' il teatro che coniuga il genere thriller ispirandosi ad una dinamica familiare fatale che modifica irreversibilmente i destini dei suoi componenti. Leonardo, un giovane introverso e chiuso nei suoi conflitti interiori senza ambizioni lavorative ma con una mente brillante, decide di diventare uno scrittore, consolidando l'unica passione da sempre coltivata per la scrittura.

Lena e Gerardo sono i suoi genitori, ma non solo: sono un uomo ed una donna che riflettono costantemente la loro profonda diversità. Lei donna fragile, instabile psicologicamente e piena di contraddizioni, lui carismatico ed autoritario con un pesante segreto custodito nella profondità della sua anima, insieme vivono senza affiatamento la vita quotidiana. Saranno le aspirazioni fallite, le vite irrealizzate ed i conflitti dei personaggi, in un’alternanza del ruolo di vittima e carnefice, a dare vita ad una storia che fa riflettere e tiene con il fiato sospeso lasciando lo spettatore di fronte ad un enigma: si può essere prigionieri della mente?


Angela Turchini autrice di “OscuraMente” al Teatro Hamlet. L'intervista di Fattitaliani

 Fattitaliani - 05 ottobre 

Fino al sei ottobre al Teatro Hamlet “Oscuramente” scritto da Angela Turchini. Regia e adattamento di Marzia Verdecchi. Con Carlotta Mancini, Riccardo Rendina e Italo Amerighi. Tecnico audio e luci: Emilio Caro

Una dinamica familiare che potrebbe appartenere ad ognuno di noi. Un gioco a tre che gioco non è! Un’atmosfera “Noir” ma non troppo. Distorsioni affettive e psicologiche, Manipolazioni e tant’altro! Fattitaliani ha intervistato Angela Turchini.


A cosa è dovuto il titolo “OscuraMente” e di cosa parla? 

E’ un modo per richiamare quello che c’è di oscuro nella mente che di solito sfugge alla comprensione! 

Parla di una dinamica familiare: madre, padre e figlio che non avendo la capacità di relazionarsi nella loro quotidianità neanche affettivamente, nutrono delle distorsioni affettive e psicologiche e questa situazione li porta a manipolarsi. C’è un momento in cui parte questa situazione e diventa un gioco a tre. Ognuno di questi personaggi crede di essere lui a gestire il tutto. In realtà lo snodo è un altro E’ un’opera che parla anche dell’incapacità di manifestare i sentimenti e di affrontare i problemi. È una dinamica psicologica abbastanza frequente nella realtà. È un thriller, ci sono delle situazioni abbastanza paurose che ci richiamano cose che capitano nella realtà.

L’opera è partita da un’osservazione sulla realtà di essa. Di alcuni fenomeni noi vediamo soltanto il finale perché a volte quando si sentono i racconti ognuno la pensa in maniera diversa ed esprime dei commenti. In realtà, la volontà era quella di far accadere tutto davanti agli occhi. È un modo di proporre una dinamica manifesta ma giocata in tante situazioni.

La regia l’ha messa in scena con giochi di luce e ombre e con un gioco di schermi di luce richiamando quindi il fatto che la mente in qualche modo si trova o nella luce o nell’ombra. 

Ti sei ispirata ad un fatto realmente accaduto? 

Non c’è un evento specifico! Mi sono un po’ ispirata alla realtà. Mi piacciono molto i thriller. Ho scelto questo argomento perché mi colpisce come in una mente normale possano manifestarsi comunque alcuni fenomeni. 

Da lì ho cominciato a pensare ad una dinamica, a costruire questa storia e a vederci un epilogo. Mi piacciono le atmosfere alla Edgar Allan Poe. Mi piacciono i gialli classici. Questo non è un giallo alla Agatha Christie perché si sviluppa diversamente ma mi piace questa sospensione-emozione che nasce da qualcosa che deve accadere e il pubblico si chiede cosa sia. Volevo avvicinarmi a questo mood.

Qual è il tuo film preferito? 

A parte i noir tipo “Angoscia” con Ingrid Bergman, diretto da George Cukor. È un film del 1944. Mi piacciono molto i film un po’ vecchia maniera. Oggi dello stesso genere non mi attrae quasi nulla. In Angoscia c’era questa persona che veniva indotta a credere che fosse folle. In realtà c’era una macchinazione, una manipolazione da parte di altri. “La casa delle finestra che ridono” di Pupi Avati era molto particolare, strutturata e surreale in alcune cose. E’ la storia di Stefano chiamato a restaurare un affresco in una casa di campagna, terrificante opera di un folle morto suicida. Gli abitanti del luogo manifestano comportamenti sempre più strani e il ragazzo comincia a temere per la sua incolumità. 

A cosa è dovuta la scelta di una Regista?

In questa pièce anche il ruolo della donna è molto complesso, secondo me la presenza femminile ha dato quella chiave di lettura diversa e più profonda rispetto alla storia. C’è il gusto della ricerca del particolare e del bello anche nel movimento. Marzia Verdecchi è molto brava a creare dei movimenti molto artistici.   


Elisabetta Ruffolo


Oscuramente, spettacolo al Teatro Hamlet

OscuraMente è una storia teatrale contemporanea che racconta una realtà drammaticamente attuale dove niente è come sembra. Costruita attraverso il susseguirsi di situazioni imprevedibili e colpi di scena, si delinea un nucleo…

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OscuraMente dinamiche di famiglia 

 Sissi Corrado - 26 Settembre 2019

ognuno ha sempre una possibilità di essere diverso

In scena al Teatro Hamlet di Roma OscuraMente di Angela Turchini, con adattamento e regia di Marzia Verdecchi. Sul palco Italo Amerighi, Riccardo Rendina, Carlotta Mancini, tecnico audio e luci Emilio Caro. Lo spettacolo racconta una storia contemporanea, che rivela una realtà drammatica dove nulla è come sembra. È la storia di una famiglia e di dinamiche che si trasformano in conflitti, debolezze, spietatezze e destino. Abbiamo rivolto alcune domande ad Angela Turchini, autrice del testo.

Il tema portato in scena racconta di dinamiche familiari che spesso si trasformano in situazioni fatali. Qual è la molla che ha fatto scattare in voi la scelta di lavorare su questo argomento?

Le dinamiche familiari sono il motore per tenere in vita una famiglia. Servono per gestire i cambiamenti che la vita, nel suo continuo mutare, impone. I cambiamenti, come ognuno di noi sperimenta continuamente, modificano le relazioni affettive, emozionali ed anche sociali e purtroppo non sempre in meglio. Il punto di vista dal quale ho scelto di osservare un argomento così attuale, è privilegiato quando questo significa poter percorrere un viaggio in un mondo così complesso, dove la trasformazione dapprima pensata poi scritta si svela sulla scena, lasciando spazio alla riflessione su come i sentimenti e il forte coinvolgimento emotivo possono essere alla base dei conflitti relazionali fino alle più estreme conseguenze. Direi, riassumendo in due parole, che la molla è stata proprio l’osservazione e la riflessione.

La cronaca ci mostra una crescente insofferenza in ambiente familiare, da cosa potrebbe dipendere?

Ci sono diversi tipi di insofferenza, e non è detto che siano tutti negativi soprattutto quando questa può agire come spinta per pensare oltre, per aprirsi ad un futuro diverso e migliore. Penso però che se non gestita, l’insofferenza è un vero e proprio disagio e la famiglia certamente può essere a volte il luogo perfetto dove può emergere. Può dipendere da un problema di percezione del modello familiare, dall’incapacità personale di accettare gli altri, dal guardare ai difetti di chi ci vive accanto con ostilità in un atteggiamento di chiusura, fino a diventare un atteggiamento patologico. Non sono un’esperta in materia, parlo ovviamente a titolo personale, ma credo che seguendone la traccia l’insofferenza ci dice qualcosa di più profondo. Potrebbe essere un segnale che tutto ciò che ci procura insofferenza ci appartiene. Così, nel tentativo di allontanare questa idea ci si focalizza sugli altri, fino al punto di esserne ossessionati e di reagire nel modo peggiore.

I personaggi quando hanno o stanno caratterizzando il tuo modo di stare in famiglia?

Sulla scena ci sono tre personaggi, nessuno ha però caratteristiche affini alle mie nel vivere la famiglia. Non mi identifico in loro: li osservo e poi li racconto. Tra l’altro, ho una visione di nucleo familiare, di casa, di accoglienza, di relazione piuttosto lontana da quella sostenuta dai tre personaggi. Li ho voluti così, rappresentandoli in un momento della loro stessa vita in cui ormai il loro destino è, per così dire, segnato dalle loro esperienze passate. Non li giudico.

La famiglia è il primo approccio alla società. Alla luce di queste parole come si potrebbe analizzare la situazione attuale?

Partendo da quello che di buono c’è in ognuno di noi e mettendo le cose in ordine nelle nostre vite affinché ci sia spazio per tutto e tutti. Per le regole e i valori, nei quali ricomprendo idealmente tutti gli elementi necessari ad una sana convivenza, che coniugati al rispetto e alla libertà anticipano il successo del vivere sociale.

Quali componenti della famiglia, secondo te, riuscirebbero ad approcciarsi di più in modo positivo all’altro?

Gli approcci dei personaggi tra loro, rispetto anche alla loro dimensione familiare, sono funzionali affinché la storia arrivi alla sua conclusione. E questo, è più che ovvio. Volendo fare nuove proiezioni su di loro, direi che al modificarsi di uno di loro ne seguirebbe necessariamente una profonda modificazione degli altri due. Forse avremmo una nuova vicenda da raccontare, magari con un altro finale. Quello cioè che può riscrivere lo spettatore, “riavvolgendo il nastro”. E’ quello che capita nella vita, dove ognuno ha sempre una possibilità di essere diverso, di migliorarsi e di diventare conseguentemente un uomo migliore. I personaggi di questa storia, attraverso il loro ruolo e i loro destini, ci parlano delle loro fragilità e ossessioni mettendoci di fronte a una grande opportunità: quella di poter sempre illuminare la propria mente, affinché non sia mai “oscura”.

Il vostro impegno in scena come si coniuga con la visione del pubblico? Come viene accolto lo spettacolo?

Il pubblico in questo è sovrano. La rappresentazione, ciò che esiste sulla scena, prende davvero vita solo se incontra il pubblico che ne diventa il cardine. È anche questo un gioco di relazioni, un’esperienza che si rinnova ogni volta che si va in scena. Ciò che viene rappresentato è assolutamente vivo, ciò che viene scritto dall’autore arriva al pubblico attraverso il lavoro di tante persone, alle quali va il mio personale ringraziamento (tutti nessuno escluso). Quello che si crea poi con il pubblico è una vera alchimia capace di aumentare il valore e il senso dell’opera.

Qual è la difficoltà nel portare un thriller a teatro?

Quando si scrive non si ha la percezione di ciò che succederà al testo: si parte sempre da un’idea, poche righe e poi ci si mette al lavoro. Il genere thriller è immenso e portarlo a teatro non è semplice. Non è solo un problema di centrare una storia, che già di per sé è una sfida, ma è creare la suspance, mantenerla lungo l’asse di sviluppo della storia, rendere i personaggi credibili nei loro ruoli mantenendone i misteri ed i segreti mentre è tutto davanti agli occhi dello spettatore. È la ricerca di una scrittura che amplifichi ciò che sta accadendo tra i personaggi, nelle loro menti come nel caso di questa opera. Non potevo che affidarmi al lavoro della regista, Marzia Verdecchi, che ha dimostrato (come sempre nei suoi lavori) la capacità di entrare in un testo non semplice cogliendone la centralità e l’essenza. È grazie a lei che questo testo è in scena diventando un spettacolo teatrale raffinato, pieno di tensione, arricchito con molti effetti di luci ed ombre che lascia lo spettatore sospeso, fino a quando sul palco i riflettori non si spengono. Un grazie agli attori che sono in scena: Italo Amerighi, Carlotta Mancini e Riccardo Rendina per aver fatto crescere i personaggi in una storia il cui accento psicologico ha richiesto loro un duro lavoro.

Ci sono parole e parole… Quali sono le tre che possono rappresentare maggiormente questo testo?

Manipolazione, ritmo, oscurità. La prima esprime il rapporto tra i personaggi, il ritmo è riferito al crescendo della storia, l’oscurità è tutto ciò che, nascosto, mette davvero paura.